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Quarant'anni dall'approvazione della legge 'Basaglia' sull'abolizione degli ospedali psichiatrici ma ancora c'è lavoro da fare

"La cosa importante è che abbiamo dimostrato che l'impossibile diventa possibile". Con questa frase Franco Basaglia, fondatore di Psichiatria Democratica e fautore del movimento che il 13 maggio 1978 porterà all’approvazione della legge 180, rivoluzionaria norma che ha cambiato del tutto l’approccio alla malattia mentale nel nostro paese, salutò l’entrata in vigore di quella riforma, passata alla storia come ‘Legge Basaglia”.

Negli anni settanta in Italia c’erano 98 ospedali psichiatrici che ospitavano circa 89mila internati, molti dei quali richiusi lì da decenni e quasi tutti in condizioni inumane e degradanti. È stata la prima legge al mondo ad abolire gli ospedali psichiatrici, ma per chiudere definitivamente queste strutture in Italia ci sono voluti altri vent’anni. Nel 1994 Roma è diventata la prima capitale europea a non avere un manicomio. Tutto cominciò diversi anni prima, nel 1961, quando Franco Basaglia rinunciò alla carriera universitaria per assumere la direzione dell’ospedale psichiatrico di quella città. Già l’anno successivo Basaglia avviò un primo esperimento ‘anti-istituzionale’ – nel senso che era del tutto al di fuori degli schemi e delle procedure con cui venivano affrontati i casi di malattia mentale all’epoca – tentando di trasferire il modello della comunità terapeutica all’interno dell’ospedale psichiatrico. Furono aboliti tutti gli strumenti di contenzione all’epoca molto utilizzati – a partire dalla camicia di forza – e si cessò di utilizzare le terapia elettroconvulsivanti, il cosiddetto ‘elettroshock’, la cui efficacia non è stata peraltro mai provata a fronte di una sofferenza certa inflitta al paziente. Ma – ed è questa la cosa più straordinaria – furono introdotti i principi non soltanto del diritto alla dignità umana per tutti, ma anche della democrazia e della possibilità per gli ospiti di interloquire con il personale dell’ospedale in modo costante, anche in un dialogo volto alla definizione del proprio percorso terapeutico. Nel 1971, dopo una breve parentesi a Parma, Basaglia passa a dirigere l’ospedale di Trieste, che l’anno dopo diviene ‘zona pilota’ dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la cura delle malattie mentali. Sette anni dopo la legge 180, che nel ventennio successivo porterà all’effettiva abrogazione dei manicomi in tutta Italia. Una norma straordinaria, che ha posto l’Italia all’avanguardia non solo nella cura ma anche nell’approccio alla malattia mentale, trasformata da male degradante e che privava dei diritti elementari a patologie curabile, o comunque, che può essere mantenuta sotto controllo. In ogni caso, patologia che non giustificava in alcun modo le sopraffazioni e la privazione dei diritti di cui erano fatto oggetto le persone definite spregiativamente malati di mente. Da allora esistono nei principali centri urbani i Dipartimenti di Salute Mentale, che forniscono assistenza su base volontaria, tranne rare eccezioni in cui essa - in situazione di emergenza che viene stabilita dalle autorità attraverso il cosiddetto T.S.O., il Trattamento Sanitario Obbligatorio – viene imposta, per la durata massima di alcuni giorni. Eppure, ancora oggi, si assiste a casi orrendi di persone con problematiche di salute mentale che sono state sottoposte – con esiti terribili, ad abusi delle terapie stabilite in conseguenza di un T.S.O. i cui presupposti probabilmente non ricorrevano neanche. È il caso – per cui vi sono state recenti condanne – della morte a seguito dei trattamenti subiti del maestro elementare di Sapri Franco Mastrogiovanni, sottoposto a un T.S.O. e legato per giorni ad un letto di contenzione, procedura assolutamente proibita e che gli è costata la vita. Molti sono, dunque, ancora oggi i passi da fare, nell’affermazione di una cultura autenticamente democratica della medicina e della psichiatria. Ma moltissimo è stato fatto, grazie a Franco Basaglia ed ai tanti altri professionisti che assieme a lui si sono battuti per anni per sconfiggere le pulsioni più reazionarie che permeavano questa disciplina. La mia speranza è che non vi sia alcun arretramento nel Paese, sull’onda del riproporsi, negli ultimi mesi ed anni, di queste pulsioni velatamente autoritarie e securitarie. Che sono solo indice di debolezza, soprattutto di una classe politica che, invece di guidare l’Italia, preferisce solleticarne gli istinti più deteriori e le paure.

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