Dal Rapporto Svimez 2018 la conferma di un'Italia a due velocità

Il rapporto Svimez 2018 ci consegna – purtroppo – la conferma dell’immagine di un’Italia a due velocità. Di un’Italia, beninteso, dove non mancano elementi significativi in controtendenza, con un Sud che – in particolare Campana e Calabria – è cresciuto dal 2014 al 2017 del 3,7 %, contro una media nazionale del 3,3%.

Ma nel medio periodo il divario fra Nord e Sud resta elevato, ed è causato non – come amano credere i nostalgici di passati momenti di gloria – dagli errori commessi nell’800 o a chissà quali altre arcane motivazioni. È dovuto agli errori che sono stati compiuti negli ultimi venti anni, e che si continuano a compiere, con il Mezzogiorno che è in pratica scomparso dall’agenda politica da moltissimo tempo. Lo Svimez calcola che se soltanto gli investimenti pubblici nel Sud Italia fossero rimasti invariati a quelli del 2010 l’attuale crescita dello 0,7 % del Pil sarebbe quest’anno raddoppiata. Per non parlare delle misure anticicliche messe in campo dai vari governi che si sono succeduti, ad esempio il famoso bonus degli 80 euro di Renzi, che hanno dispiegato la massima parte dei loro effetti nelle zone già più avanzate del paese, dove il reddito medio consente l’erogazione a molte più persone. E il nuovo governo? la compagine guidata dal premier Conte e dai due vicepremier Di Maio e Salvini sta mettendo in campo – per ora solo a parole – misure come la flat tax che, se realizzate, dispiegheranno ancor più che in passato i loro effetti per oltre il 70% nel Centro e Nord Italia, e soltanto in via residuale nel nostro Mezzogiorno. Ma poco c’è da aspettarsi, del resto, da partiti politici come la Lega che, prima di abbracciare gli ideali xenofobi e lepenisti, per oltre venti anni aveva fatto del federalismo fiscale spinto e finanche del secessionismo la propria bandiera. Il Veneto e la Lombardia, forti del recente successo dei referendum consultivi sull’autonomia, proprio in queste settimane stanno battendo cassa, chiedendo a gran voce al governo gli incrementi degli investimenti pubblici per quelle regioni, per un totale di una trentina di miliardi che dovrebbero, tanto per cambiare, essere sottratti alla fiscalità generale. In tutto questo scenario, davvero preoccupante, terminata la sceneggiata estiva securitaria e dal sapore xenofobo, studiata a tavolino per scatenare una guerra fra poveri e come arma di distrazione di massa, i nodi verranno al pettine, e si prospetta un autunno molto caldo, con il governo a caccia di una manciata di miliardi per rispettare i parametri di rientro dal deficit e le promesse elettorali che inizieranno a mostrare tutta la loro inconsistenza, a partire dal tanto decantato reddito di cittadinanza. Io penso che in questo scenario, partendo dai comuni e dalle regioni del Sud, debba essere levata una voce, debba essere affermato con forza che il Mezzogiorno non può continuare ad essere – al di là delle poche e confuse chiacchiere e vaghe promesse – estraneo all’agenda di sviluppo dell’Italia. Un paese che nel 2018 continua a vivere un divario economico e produttivo così ampio e che continua a non occuparsene non ha un futuro roseo davanti. Ed una classe politica meridionale che non riesce a porre questo problema, a farlo divenire centrale nonostante a livello di governo vi siano molti ministri meridionali, non è una classe dirigente degna di questo nome.

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