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Abdon Alinovi: Il suo pensiero politico e la sua azione un esempio da non dimenticare

A pochi mesi dalla scomparsa – avvenuta a 94 anni lo scorso febbraio - si è svolto alcuni giorni fa un interessante convegno per ricordare la figura di Abdon Alinovi. Storico dirigente politico del Partito Comunista Italiano, ma anche intellettuale di prestigio ed attivo nel campo della cultura da decenni. Abdon Alinovi – orgogliosamente di origini ebolitane - è stato protagonista della scena politica campana sin dall’immediato dopoguerra, allorquando fu chiamato a collaborare con Pietro Amendola e a dirigere, a Salerno capitale provvisoria dell’Italia liberata, il giornale “Unità Proletaria”, che diverrà poi la “Voce Salernitana”.

Divenne, poi, nel 1955 segretario provinciale di Napoli del Partito Comunista Italiano, e segretario regionale nel 1967. In quegli anni, fu tra i registi della feconda stagione dei governi rossi della capitale del Sud Italia, con l’esperienza della Giunta Valenzi. Nei decenni successivi è stato parlamentare del Partito Comunista dal 1976 al 1987, ricoprendo nella IX legislatura il delicatissimo ruolo di Presidente della Commissione Antimafia. In Parlamento, -lo racconta lui stesso in una intervista rilasciata alla giornalista di Repubblica Eleonora Bartolotto nel 2005, l’esperienza che lo segnò di più fu proprio la presidenza della commissione parlamentare antimafia, assunta dopo l´assassino Dalla Chiesa, in coincidenza con il governo Craxi. «All´inizio ebbi seri contrasti, perché la linea che prevaleva era: "Meglio non turbare gli equilibri". Ma equilibri di che? mi chiedevo. Equilibri tra la mafia e lo Stato? Alla fine - grazie anche all´appoggio di democristiani come Scalfaro, Martinazzoli, Maria Eletta Martini e di un solo socialista, Giacomo Mancini - riuscii a imporre la mia tesi, che individuava nelle organizzazioni mafiose uno degli elementi permanenti della eversione nello Stato democratico». Gli giocarono un brutto tiro, dice. «Inserendo nell´archivio storico della Camera gli atti della commissione, di fatto secretandoli per settant´anni, benché, prima di scioglierci, avessimo deciso all´unanimità che fossero resi subito pubblici. E, peggio, negli archivi sparirono tutte le carte relative alle ispezioni compiute a Palermo e a Milano». Dure anche le sue critiche a quanto vedeva accadere nei Democratici di Sinistra, di lì a poco trasformatisi nel Partito Democratico: “Oggi – raccontava - c´è l´obbligo di schierarsi per una mozione, cioè mediare la propria militanza con l´adesione a una corrente, rinunciando alle "tesi" che erano il prodotto di un collettivo. Si è ripescato il modello della vecchia Dc: la deformazione del pluralismo delle idee e della collegialità». Queste riflessioni sono – a mio avviso – straordinariamente lungimiranti e rivelano quelle che sono state – al di là dei gravissimi errori delle recenti leadership del Pd – gli enormi sbagli compiuti da un’intera classe dirigente, e che hanno portato all’attuale debacle della sinistra e del centrosinistra in questo Paese. Io ero, negli anni settanta ed ottanta, un giovane militante di un altro storico partito politico, la Democrazia Cristiana, dove pure stava esaurendosi da tempo quella spinta propulsiva di quei tanti che vi militavano partendo da una idea di politica cattolica ma progressista. Ed ho vissuto, aderendo poi negli anni successivi alla Margherita e poi al Partito Democratico, quel percorso che – pensato con lungimiranza ma governato male e con scarso coraggio – ha determinato la drammatica situazione presente. Abdon Alinovi – la sua figura ma soprattutto il suo pensiero politico e la sua azione – ci sono di monito e ci insegnano che una militanza politica sincera ed intellettualmente onesta è l’unica strada che può condurre la sinistra ed il centrosinistra al riscatto, ma soprattutto a tornare in sintonia con i ceti più deboli, con le persone che più hanno bisogno di sinistra, e che negli ultimi anni hanno avvertito drammaticamente questa assenza.

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