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Ogni settantadue ore una donna in Italia viene uccisa. Tutti uniti nella lotta alla violenza sulle donne

Ogni settantadue ore, in Italia, una donna viene uccisa. E, otto volte su dieci, la vittima viene assassinata – o violentata, o picchiata a sangue, fra le mura domestiche, per mano del marito, del compagno, di un parente stretto. A questo si affianca la prevaricazione, la riduzione in schiavitù, la mercificazione del corpo delle donne.

E, ancora, la violenza psicologica, l’annichilimento delle donne spesso ridotte ad uno stato di sudditanza partendo da una situazione di predominio economico. Le donne costrette al logoro e vièto stereotipo di angelo del focolare. Ruolo di cui non c’è affatto da vergognarsi, beninteso, purché appartenga ad una libera scelta.Domenica 25 novembre è la giornata universalmente dedicata alla violenza – ad ogni tipo di violenza sia essa fisica che psicologica o morale – sulle donne. È un’occasione importante per riflettere, ed anche per mettere da parte una presupposta – ma non confermata dai fatti – superiorità morale dell’Occidente sul resto del mondo. È opinione diffusa, difatti, che nella cultura occidentale ci sarebbe maggiore rispetto per le donne. Ma, purtroppo, i dati dimostrano che non è così: nella progredita Italia, dal 2000 ad oggi, le donne vittime di omicidio volontario sono state tremila. E questo in un quadro generale di costante calo degli omicidi nel nostro paese. Nel mentre, dunque, gli omicidi volontari si sono ridotti, in generale, negli ultimi venti anni di oltre il 60 %, il tasso di omicidi a danno di persone appartenenti al genere femminile si è incrementato, dal 26,4 % del 2000 al 37,1 % del 2018. È quanto emerge, drammaticamente, dal Rapporto Eures pubblicato proprio in occasione dell’approssimarsi della giornata del 25 novembre. E questi dati ci raccontano una cosa soltanto, al di là delle chiacchiere con poco costrutto: che la subcultura che vede nella donna una persona con minori diritti, una persona da soverchiare è ben lungi dall’essere sconfitta nel nostro Paese come nel resto dell’Occidente. Vi è, senza dubbio, una maggiore libertà relativa, ed anche una più forte capacità di autodeterminazione delle donne rispetto ad altre aree del mondo. E tutto questo è frutto di quelle lotte che, nel secolo scorso, hanno condotto i movimenti femministi in Europa ed America soprattutto, in un quadro di emancipazione generale e di conquista di nuovi diritti sociali. Ma ancora moltissima è la strada da fare. Ancora nel 1981 – prima dell’entrata in vigore della legge 442 – era previsto un sostanzioso sconto di pena per chi uccidesse una persona “per difendere il proprio onore”, nella quasi totalità dei casi la propria moglie sorpresa in adulterio. Ed apparteneva alle usanze ammesse nel Sud Italia il cosiddetto “matrimonio riparatore”, che nella sostanza rendeva una esimente rispetto al reato di violenza carnale la disponibilità del colpevole a prendere in moglie la vittima dell’abuso. E, fino a non molti anni fa, il delitto di stupro era considerato un reato contro la pubblica moralità e non contro la persona, con la conseguenza che la sua punibilità era, di fatto, strettamente connessa al danno che ne riceveva lo Stato in termini di decoro ed ordine pubblico. Ancor oggi alcuni politici mettono in discussione, di fatto, la libera autodeterminazione delle donne nel nostro Paese. Il mio auspicio è che si smetta davvero di fare questo, di giustificare surrettiziamente azioni di sopraffazione nei confronti delle donne, di qualsiasi natura esse siano. E che la si smetta, anche, di strumentalizzarle, di dividere in modo manicheo il genere maschile fra ‘occidentali’ che sarebbero illuminati e scevri da qualsiasi sopraffazione ed ‘immigrati’ capaci delle peggiori nefandezze, magari ricollegate a motivazioni culturali e religiose. Semplicemente, perché oltre che essere ingiusta questa è una narrazione fasulla della realtà, e non aiuta le donne, non aiuta a sconfiggere e a debellare quell’odioso fenomeno che vede, ancora oggi, nella civilissima Italia, una donna morire per mano omicida ogni 72 ore, e di esse la stragrande maggioranza per mano del compagno o del marito. Chiudo con una riflessione della psichiatra Laura Conti, che credo sia significativa ed importante: "occorre insegnare ai ragazzi che, anche in un'amicizia, bisogna essere sullo stesso piano. Si deve ascoltare ed essere ascoltati. Soprattutto i maschi: se imparano a usare strumenti emotivi non ricorrono alla forza. Non ci deve essere un gioco di potere ma un dialogo tra due soggetti con pari dignità". E' questa la strada. 

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