Sono solo canzonette

C’è un signore, un certo Alessandro Morelli, conosciuto a qualcuno – in verità non a molte persone - per essere stato direttore di Radio Padania e, con Letizia Moratti, assessore comunale della città di Milano. Il tizio in questione - probabilmente preso dalla voglia di riconquistare un minimo di platea in un’epoca come quella che stiamo vivendo, dove purtroppo sempre più spesso è visibile chi la spara più grossa – ha ben pensato di avanzare una proposta di grande intelligenza: si faccia un editto, un decreto – ha affermato – che obblighi tutte le radio a mettere in palinsesto almeno una canzone italiana ogni quattro.

Pena per chi persiste in comportamenti antipatriottici: la sospensione della licenza di trasmissione! Il soggetto in questione, il buon Morelli, non è nuovo, peraltro, ad uscite di questo genere: quando era assessore a Milano, pensò bene di condurre un’altra battaglia – quella volta in favore della milanesità dei prodotti – spendendo una barca di soldi pubblici per far realizzare dei gadget – magliette, portachiavi, tutti oggetti utilissimi – che avrebbero dovuto diffondere fra le genti il ‘brand Milano’. Poi si scoprì – ma questa è un’altra storia – che la gran parte di questi gadget erano made in China, India o Taiwan, come il 99 % dell’oggettistica attualmente in circolazione. In ogni caso, Alessandro Morelli ha pensato stavolta di inserirsi con la sua ridicola sparata in un filone piuttosto surreale, che tiene banco sui media da qualche giorno: la presunta necessità di garantire l’italianità – udite, udite – della musica italiana! Tale filone di pensiero è emerso all’indomani della vittoria al Festival di Sanremo di una canzone molto carina, presentata dal cantante Mahmood, che in verità è italiano quanto noi. Il dibattito su Sanremo, peraltro, è ricco di spunti interessanti, fra accuse a Claudio Baglioni di essere favorevole ad una società multietnica ed altre amenità, che sono giunte fino alla ridicola e penosa accusa di satanismo rivolta alla bravissima comica e conduttrice Virginia Raffaele. Ma perché ho deciso di soffermarmi, oggi, su tutto questo? Perché temo che davvero sia sintomatico del degrado del dibattito pubblico in questo Paese, di un tentativo portato avanti con metodo da parte di una porzione consistente delle classi dirigenti di ridurci ad uno stato catatonico, di rincretinimento generale. Un grande paese qual è l’Italia, del resto, che dovesse davvero ridursi a difendere l’identità nazionale – fondata sul valore della cultura, della pace, della democrazia e dell’antifascismo – con le grida manzoniane a tutela delle canzonette, sarebbe davvero un paese ormai avviato irreversibilmente sulla via del declino sociale e morale.

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