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Approvata la nuova legge sul caporalato. Ora si realizzi subito uno sportello unico per l'immigrazione a Santa Cecilia

E’ di questi giorni la notizia della definitiva approvazione, dopo un iter legislativo lungo ed impegnativo, della legge per il contrasto al caporalato e al lavoro nero in agricoltura. Si tratta di un fatto molto importante, ed ora questa legge deve al più presto trovare piena applicazione, a partire dalle nostre terre, dalla Piana del Sele. La Piana, infatti, è massicciamente interessata da fenomeni di sfruttamento del lavoro nero, in danno soprattutto dei tanti migranti senza i quali la fiorente economia agricola dell’area probabilmente tracollerebbe. Immigrati che vengono ‘ospitati’ in baracche fatiscenti a prezzi vergognosamente alti, ovviamente in nero. Che vengono privati dei più elementari diritti, la cui salute viene messa a dura prova nelle serre dove, spesso, non vengono rispettate le più elementari norme sulla sicurezza del lavoro. Il Ministro dell’Agricoltura Martina, in occasione dell’approvazione della legge attesa da anni, ha detto che “ora avremo nuovi strumenti per proseguire una battaglia che deve essere quotidiana, perché sulla dignità delle persone non si tratta”. Condivido punto per punto queste affermazioni, sottolineando che per persone si intendono – in una società che voglia dirsi ed essere civile – tutte le persone, i cittadini italiani come gli immigrati, regolari od irregolari che siano. Tutti hanno, infatti, il diritto di non essere sfruttati da individui senza scrupolo. La norma prevede, fra i suoi capisaldi, il rafforzamento delle rete del lavoro agricolo di qualità, che ricomprende l’attivazione di sportelli unici per l’immigrazione. Prevede l’elaborazione di un piano di intervento per l’accoglienza dei lavoratori stagionali, allo scopo di tutelare – in collaborazione con gli enti locali e con il terzo settore – la dignità e i diritti dei lavoratori. Un’altra importante previsione normativa riguarda la possibilità di estendere alle vittime del caporalato accertate gli indennizzi già previsti per le vittime della tratta con la legge 228 del 2003. Si stabilisce, infine, l’inasprimento delle sanzioni penali per chi sfrutta il lavoro e comprime i diritti dei lavoratori, prevedendo l’arresto obbligatorio per chi svolge intermediazione illecita del lavoro e rafforzando le possibilità di confisca dei guadagni illeciti conseguiti commettendo questo odioso reato. E’, io credo, una buona legge. Ora sta allo Stato, ma anche alle amministrazioni comunali, fare in modo che essa venga applicata. Io partirei – e spero che l’Amministrazione Cariello si voglia adoperare rapidamente in tal senso –dall’istituzione a Santa Cecilia di uno sportello unico per l’immigrazione, volto a far incontrare l’offerta e la domanda di lavoro attraverso canali leciti e rispettosi dei diritti delle persone. Di tutte le persone.

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Il baratto amministrativo è una idea interessante, su cui però si deve aprire una riflessione con associazioni e cittadini

Questa settimana voglio affrontare un argomento che – in tempi di crisi economica come quella che viviamo ormai da molti anni – ritengo particolarmente interessante: il cosiddetto “baratto amministrativo”, e cioè l’ipotesi che i comuni possano concedere – in particolari condizioni e in determinati ambiti – agevolazioni o esenzioni fiscali a gruppi di cittadini che, in cambio, svolgono attività utili a abbellire o riqualificare particolari aree delle città. Questa possibilità è prevista dall’articolo 24 del Dl 133/2014, e se ne è parlato a lungo nel dibattito politico anche nella nostra città. Ricordo che una ipotesi di applicazione del baratto amministrativo fu lanciata, nella campagna elettorale per le elezioni amministrative dello scorso anno, dal candidato sindaco del centrosinistra, e che diverse volte sull’argomento sono tornati gli attivisti del movimento 5 stelle ebolitano, l’ultima volta pochi giorni fa, sollecitando il sindaco Cariello ad adottare provvedimenti che andassero in questa direzione. Io penso che la possibilità di introdurre – con modalità regolate da una apposita delibera di Consiglio Comunale e dopo un ampio e proficuo dibattito che veda coinvolte le forze politiche, i cittadini e le associazioni della nostra città – ipotesi di ‘baratto amministrativo’ e di esenzioni o riduzioni fiscali per i cittadini o per le associazioni che si adoperano per il bene comune sia interessante. Credo però anche che le modalità ed i limiti posti a queste ipotesi debbano essere regolamentate con molta attenzione, per evitare qualsiasi possibile abuso e qualsiasi discrezionalità da parte della pubblica amministrazione nella scelta dei beneficiari. La norma stessa, del resto, e l’interpretazione giurisprudenziale che vi ha fatto seguito, prevedono che i comuni che vogliano adottare provvedimenti di questo tipo debbano essere molto rigorosi nelle modalità con cui le eventuali esenzioni dalle tasse locali possono essere concesse Prevede, inoltre, che i servizi svolti dai cittadini per i quali si può immaginare di ricorrere a percorsi di ‘baratto amministrativo’ debbano essere volti al miglioramento dell’ambiente, del decoro urbano, della bellezza delle città. Tutto questo si collega a un’ idea di comunità, di polis, in cui i cittadini non deleghino più tutte le incombenze alla pubblica amministrazione, in cui siano parte attiva delle scelte ma anche delle azioni per creare per tutti un ambiente di vita migliore. Le applicazioni possibili sono tante, a partire da riduzioni fiscali, ad esempio, per i cittadini che si riuniscono in associazione per abbellire aree verdi della nostra Eboli e per curarle. Ancora, si può pensare a esenzioni parziali da alcuni tributi per i cittadini che vogliano adottare un cane e si facciano carico di averne cura, liberando il comune da costi molto alti e garantendo a poveri animali domestici altrimenti condannati a una vita per strada o in un canile una esistenza migliore. L’importante è che tutto sia fatto bene, nel rispetto delle regole e con senso civico. Spero che su questi temi l’Amministrazione Cariello voglia aprire una riflessione, in cui coinvolgere tutta la città.

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Eboli, la Valle del Sele, il suo equilibrio ambientale e le prospettive di sviluppo.

E’ iniziata, finalmente dopo tanti anni, l’ultima fase di svuotamento delle vasche del depuratore di Coda di Volpe, dove nell’ultimo periodo dell’emergenza rifiuti furono stoccate dall’allora commissario di Governo quasi 35.000 tonnellate di cosiddette ‘ecoballe’, nella realtà rifiuto tal quale imballato e stoccato in attesa di altre destinazioni. Nel corso degli anni buona parte di quel materiale è stato rimosso, ed ora la Regione Campania ha avviato la rimozione delle ultime 10.000 tonnellate di ecoballe, che saranno inviate ad impianti di incenerimento, sembra fuori regione. E’ una buona notizia per Eboli, per l’ambiente e per la nostra agricoltura, anche perché ora si potrà procedere – e spero che questo avvenga in tempi rapidi – a mettere in funzione il depuratore di Coda di Volpe, risolvendo in tal modo, se nel frattempo si completano i collettori fognari, buona parte del problema drammatico di una zona vasta del nostro territorio non servita da impianti di depurazione. Purtroppo è, a quanto pare, l’unica buona notizia per l’ambiente nella nostra area. O meglio, pare che la raccolta differenziata ad Eboli, con l’ultima estensione alle aree rurali, stia aumentando le percentuali di materiali avviati a riciclo, e questo è senza dubbio un bene. Ma ancora non è stata, inspiegabilmente, avviata la procedura di gara per l’affidamento del servizio di igiene urbana, e questa – a quasi due anni dallo scadere del precedente appalto – è davvero una circostanza inspiegabile. Anche perché una nuova gara consentirebbe – se ben progettate le modifiche al servizio – sia consistenti risparmi per il comune e quindi per i cittadini sia significativi ulteriori miglioramenti alle modalità di raccolta, a partire – ad esempio – dalle isole ecologiche a scomparsa nel centro storico di Eboli, e dall’implementazione di modalità di raccolta supportate dalle nuove tecnologie, in grado di ottimizzare il servizio e la qualità e la quantità dei materiali avviati a riciclo. Altre cattive notizie per l’equilibrio ambientale del nostro territorio giungono – ne ho già parlato più diffusamente in un articolo recente – sul fronte del possibile insediamento nell’area della Valle del Sele delle Fonderie Pisano. Si è parlato di Campagna, poi di Eboli, poi di Battipaglia. Cambia poco: un impianto siderurgico – per quanto si vogliano adoperare i migliori accorgimenti – è un impianto che ha una notevole portata inquinante, i cui effetti non sono certo fermati dai confini intercomunali. E stupisce sentire attribuita al sindaco di Battipaglia – peraltro medico come chi vi scrive – una affermazione dai toni surreali sul fatto che un impianto del genere avrebbe lo stesso impatto ambientale di un “palazzo riscaldato a metano”, salvo poi proporre a quanto sembra di dislocarlo presso l’area dell’ex Fabbrica Apoff di Eboli. Ma io sono certo che tale frase non sia vera, perché l’ottimo sindaco di Battipaglia – valente professionista - sa bene che un impianto siderurgico ha un impatto ambientale significativo, e che in un’area confiscata alla criminalità organizzata qual è la ex Apoff nulla può essere realizzato – per legge – che non sia destinato a fini sociali. E di questo carico inquinante aggiuntivo il nostro territorio – io credo – davvero non sente il bisogno, un territorio a vocazione agricola e turistica che, invece, ha bisogno di ridurre l’impatto sull’ambiente delle sue produzioni, e di migliorarne la qualità. Voglio davvero sperare che l’intera classe dirigente della Piana del Sele voglia mostrarsi all’altezza delle sfide che ci attendono, partendo dallo scongiurare l’insediamento di impianti nocivi e dal disegnare, invece, insieme, un quadro strategico per il potenziamento della filiera dell’agro-alimentare e dell’offerta turistica sul territorio.

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Mobilitarsi contro l'assurda proposta di delocalizzare le fonderie Pisano a Campagna è necessario!

E’ notizia di questi giorni – e sta già scatenando condivisibili reazioni dei cittadini e delle istituzioni – la proposta – da parte della proprietà delle Fonderie Pisano di Salerno – di delocalizzare la produzione nel territorio del comune di Campagna. Che sia una proposta scellerata e senza alcun costrutto è intuibile, ma vorrei cercare di spiegarne le ragioni e di svolgere una ulteriore riflessione. Partiamo dalla storia. Le Fonderie Pisano operano a Salerno, nell’area di Fratte, nel campo della produzione di ghisa di seconda fusione, con uno stabilimento di circa 30.000 mq più depositi, e occupano all’incirca 120 unità lavorative. Da tempo la loro attività è accusata – sia da parte di comitati di cittadini sia da parte di numerosi esperti – di essere portatrice di inquinamento atmosferico a causa dei processi di lavorazione, con pesanti ricadute sulla salute pubblica. Come sappiamo, stabilire un nesso causale diretto fra attività industriale e conseguente inquinamento ed incremento delle malattie tumorali e di altra natura in una data zona è estremamente complicato, e necessita di studi epidemiologici estremamente accurati e spesso lunghi. Fatto sta che le Fonderie Pisano – alla luce del superamento dei limiti di immissione in atmosfera di residui di lavorazione altamente inquinanti – attualmente sono sotto sequestro. Il problema dei residui inquinanti derivanti dalle attività siderurgica è- del resto – noto da tempo, e l’ultimo dei casi eclatanti è il gigantesco complesso siderurgico di Taranto, l’ILVA, al centro di inchieste e sequestri da tempo ed oggi in amministrazione straordinaria. Delocalizzare in un’area densamente popolata lo stabilimento è, alla luce dei fatti, una ipotesi incomprensibile e stolta, generata probabilmente dal tentativo – effettuato come spesso accade in extremis e senza adeguata programmazione – da parte della proprietà di individuare soluzioni che possano portare al proseguimento delle attività imprenditoriali. E – nell’individuare soluzioni possibili e programmate in modo sensato – va evidentemente considerata anche l’esigenza dei lavoratori di mantenere il proprio posto di lavoro, equilibrandola però con il rispetto delle condizioni ambientali del territorio e con il diritto alla salute dei cittadini. Magari indirizzando gli stabilimenti – nel tempo – verso produzioni meno inquinanti e verso una ricollocazione più appropriata. Vorrei – però – concludere con una riflessione che parte da questo problema ma che si fonda anche sull’analisi di una tendenza che sta andando avanti da almeno un paio di decenni. Parlo della tendenza – basata su scelte politiche a mio avviso afflitte da parziale miopia – di delocalizzare dall’area della città di Salerno le infrastrutture produttive più problematiche provando ad indirizzarle – di sovente ed in mancanza di altri spazi – verso la Piana del Sele. Penso all’idea – poi abortita io credo fortunatamente – della delocalizzazione del porto industriale di Salerno nell’area costiera di Eboli e Battipaglia, ipotizzando un futuribile quanto inconsistente progetto di “porto- isola” lungo il litorale. E’ evidente che questa linea di tendenza deriva dalla volontà delle amministrazioni comunali salernitane di rafforzare la vocazione turistica della città – scelta assolutamente condivisibile – senza però avere una idea chiara dello sviluppo del territorio provinciale nel suo complesso, e mostrando per questo verso grave miopia politica. Mi aspetto , concludendo questa mia riflessione, che la politica sappia sviluppare una riflessione strategica, di non corto respiro, sullo sviluppo di Salerno in armonia ed in intima connessione con l’area sud della provincia, che è a storica vocazione turistica ed agroalimentare. E mi aspetto, ancora, che Eboli – la città e la sua classe politica insieme – sappia mobilitarsi contro una proposta che – se posta in essere – creerebbe danni ambientali gravissimi al territorio, giacché l’area individuata, se pure appartenente al territorio del comune di Campagna, è di fatto vicinissima alla nostra città. E che le polveri e i residui della lavorazione dei metalli non vengono di certo fermate dai confini comunali!

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Pubblicato l'atto di indirizzo sulla Sanità. Occorre una battaglia condivisa e guidata dalle amministrazioni locali per modificare la proposta e sostenere l'Ospedale di Eboli

E’ stato pubblicato lo scorso 23 settembre l’Atto Aziendale della Asl Salerno. Ed ora i sindacati e le forze sociali e politiche hanno pochi giorni di tempo per far pervenire sulla scrivania del direttore generale dell’Asl Antonio Giordano le proprie osservazioni e proposte. L’atto ricalca, nella sostanza, le linee impartite dal commissario governativo Polimeni e prevede una rimodulazione sia dei posti letto dei vari ospedali della provincia di Salerno, sia dell’offerta di servizi sanitari sul territorio, attraverso la cosiddetta ‘riorganizzazione funzionale e operativa’ dei presidi ospedalieri. Nel corso dell’ultimo anno, e in particolar modo negli ultimi mesi, sono intervenuto diverse volte sull’argomento, sia per la sensibilità che mi deriva dalla mia professione di medico sia perché ritengo fondamentale che la politica e le forze sociali siano in grado di intervenire con decisione su scelte di tale rilevanza. Ma vediamo più nel dettaglio cosa prevede il nuovo atto aziendale. In totale – ad eccezione del San Leonardo che ha una gestione ad hoc essendo Azienda Ospedaliera Universitaria – i posti letto previsti nelle strutture pubbliche della provincia sono 1811, così distribuiti: 366 all’Umberto I di Nocera Inferiore, 82 a Pagani, 118 all’ospedale di Scafati, 161 a Sarno; 92 al nosocomio di Oliveto Citra, al San Luca di Vallo della Lucania 322, ad Agropoli 20, 114 all’ospedale di Sapri. 20 posti letto sono destinati al presidio ospedaliero di Roccadaspide e 212 a quello di Polla. La Piana del Sele vede assegnati un totale di 304 posti letto, suddivisi in 138 al Santa Maria della Speranza di Battipaglia e in 166 al nostro ospedale cittadino, il Santissima Maria Addolorata. Per gli ospedali di Eboli e Battipaglia è prevista l’unificazione dal punto di vista amministrativo, ed essi, dunque, saranno dotati di un solo direttore amministrativo e di un solo direttore sanitario. Ad Eboli, inoltre, sarà attivato – a quanto sembra – un punto di primo soccorso pediatrico. E’ un atto ospedaliero articolato, che inizia a mettere dei punti fermi, per quanto insufficienti. Ma una cosa voglio dirla con chiarezza: spetta alla politica – grande assente della vicenda nell’ultimo anno – fare in modo che un atto tecnico assuma anche una valenza più generale. Soprattutto a far sentire nuovamente e con forza la propria voce dovrebbe essere la politica locale. Fra poche settimane l’atto aziendale sarà approvato, ed è poco il tempo, dunque, in cui i cittadini, le amministrazioni locali e i sindacati possono far sentire la propria voce. Ad Eboli senz’altro serve l’attivazione del punto di primo soccorso pediatrico, ma Eboli – sia per le caratteristiche del territorio sia per il suo essere punto di primo riferimento di tutto un insieme di paesi vicini, sia infine per le caratteristiche dell’ospedale e per il suo patrimonio di competenze ed attrezzature – deve vedere riconosciuto il proprio ruolo quale Spoke ed Hub per la rete ictus, cosa che ha pieno senso se solo si considera che qui ad Eboli c’è l’Unità Operativa di Neurologia e diversi centri di alta specializzazione (centro per lo studio delle cefalee, centro di diagnosi e terapia per la sclerosi multipla, per lo studio delle malattie neuromuscolari e delle epilessie). Eboli è anche Hub di primo livello nella rete cardiologica ed è dotato del servizio di emodinamica. Se a questo si aggiunge che, nell’attuale bozza di piano, per la rete di riferimento ictus sono presenti soltanto gli ospedali di Polla e Vallo della Lucania – difficili da raggiungere in tempi brevi per le circa 300.000 persone che gravitano attorno al nosocomio ebolitano – si comprende che questo obiettivo è del tutto fondamentale, e che tutti dobbiamo attivarci per fare in modo che sia raggiunto. Così come, in considerazione della presenza ad Eboli di un reparto di Malattie Infettive all’avanguardia, dotato di due stanze a pressione negativa utili per isolare le persone affette da gravi malattie infettive, andrebbe considerata seriamente l’idea di un reparto di Medicina delle Migrazioni. Reparto che, in fondo, non farebbe altro che prendere atto di quanto già accade, sia per la forte presenza di immigrati nella Piana del Sele sia perché già oggi gli immigrati affetti da sospette patologie di natura infettiva vengono inviati ad Eboli da tutta la provincia, tant’è vero che il Ministero dell’Interno ha disposto in più occasioni speciali finanziamenti al nosocomio cittadino per rafforzare questi servizi. Un’ultima proposta che andrebbe sostenuta con forza è quella volta al mantenimento dell’Unità Operativa Complessa di Radiologia ad Eboli, e questo in virtù non solo della presenza della risonanza magnetica, utilizzata da tutta la Asl, e del corso di laurea specifico attivato presso il nosocomio, ma anche perché sono presenti – in ambienti nuovissimi e progettati ad hoc – attrezzature di altissima qualità (ad esempio l’ago aspirato sotto guida ecografica, che è utilizzato in molteplici discipline come urologia, chirurgia, ortopedia e diverse altre). Si tratta di proposte di buon senso, già avanzate da tanti medici, da sindacalisti e da cittadini di buona volontà e di grande sensibilità. Spero che la politica sappia fare tesoro di questi spunti, sappia e voglia farsi carico di queste proposte e voglia portarle sul tavolo del commissario con autorevolezza e forza.

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Combattere gli incidenti mortali sul lavoro è un dovere per tutti

Ogni anno, in Italia, muoiono – per incidenti sul lavoro – oltre 1000 persone l’anno. Senza contare le persone che muoiono per incidenti stradali raggiungendo il luogo di lavoro. Sono le cosiddette morti bianche, una strage silenziosa e perenne di persone che scendono di casa, la mattina, per guadagnarsi il pane, e non vi fanno più rientro. E’ per questo, ed anche sulla scorta delle tragiche notizie di cronaca di questi ultimi giorni qui ad Eboli, che ho deciso, questa settimana, di parlare di questo drammatico argomento. Nella nostra città, infatti, proprio in queste ore è avvenuto – e non è il solo che le cronache giornalistiche di quest’anno ricordino, purtroppo – un drammatico incidente sul lavoro, che vede un operaio sessantenne in gravi condizioni. La Campania – che conta circa un milione e mezzo di occupati – è ottava in Italia per incidenza di decessi sul lavoro,e seconda fra le regioni meridionali. Nel solo primo semestre del 2016 si sono contati 32 lavoratori campani deceduti mentre, semplicemente, cercavano di fare il proprio mestiere, di guadagnare il salario con il quale svolgere una vita dignitosa e garantire la sussistenza della propria famiglia. Un operaio del Chianti, Marco Bazzoni, da molti anni in prima linea per combattere – anche attraverso la proposta di modifiche normative – le morti bianche, che lui definisce “la strage dell’indifferenza”, ha, lo scorso novembre, scritto a Papa Francesco, in occasione della sua visita pastorale a Firenze. Nella lettera Bazzoni chiede aiuto al Pontefice affinché si faccia portavoce di questo dramma presso la politica italiana perché – spiega - : “Quando muore un lavoratore non è mai dovuto al tragico destino, ma perché in quell'azienda non si rispettavano neanche le minime norme per la sicurezza sul lavoro”. Ed è proprio questo – io credo – il nodo, il punto focale: quando un lavoratore muore o rimane gravemente ferito, nella gran parte dei casi ciò è dovuto alla mancanza di rispetto – da parte dei datori di lavoro – delle norme di sicurezza, che in alcuni casi sono anche insufficienti. Ed a Eboli, di gravi incidenti sul lavoro, negli ultimi anni ne sono avvenuti diversi. E a questi tragici eventi andrebbero aggiunte le persone che muoiono – o che restano gravemente ferite – mentre si recano al lavoro, e penso nella nostra città ai tanti poveri ragazzi morti mentre in bicicletta andavano a guadagnarsi la giornata nelle serre. Andrebbero aggiunti i tanti lavoratori che contraggono gravi patologie respirando polveri di amianto, i tanti lavoratori che in ore ed ore sotto le serre respirano – senza alcuna protezione – i mefitici effluvi delle sostanze chimiche utilizzate in agricoltura. Che tutto questo avvenga nel 2016, ogni giorno, sotto i nostri occhi, qui intorno a noi è inammissibile! Occorre una grande campagna di controlli sul territorio, e di questa esigenza deve, io credo, farsi portavoce l’Amministrazione Comunale. Controlli che devono partire anche dalle commesse pubbliche, dove pure sembra non manchino ditte che operano, talvolta, senza rispettare pienamente le norme di sicurezza. Su questo deve esserci – qui si! – tolleranza zero. Occorre, poi, una grande campagna di sensibilizzazione, che spieghi ai lavoratori, ai loro figli nelle scuole, a tutte le persone che possono incidere con la loro azione quali sono i diritti dei lavoratori in questo ambito, quali le norme di sicurezza da rispettare per salvarsi la vita. Anche in questo caso spero che l’Amministrazione Cariello voglia ascoltare il mio appello, ed attivarsi – sollecitando tutti gli enti preposti – per dare vita a una campagna educativa massiccia, che parta dalle scuole e dai luoghi di lavoro.

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Lo sgombero della ex Apoff: un atto necessario ma che non risolve i problemi. Ora si assistano i migranti.

Questa settimana torno, alla luce anche dei recenti fatti di cronaca che hanno riguardato lo sgombero dell’ex Apoff, sulla vicenda della fabbrica di Santa Cecilia che, come ricordavo già alcuni mesi fa in un precedente articolo, rappresenta una vera e propria bomba ecologica. E’ un problema grave, posto all’attenzione dell’Amministrazione Comunale – meritoriamente – dal comitato “Togliamoci l’Amianto dalla Testa”, che sta procedendo ad una importante attività di monitoraggio e di sensibilizzazione sulla presenza di eternit in cattivo stato di conservazione sul territorio cittadino. Qualche giorno fa le forze dell’ordine – su disposizione, sembra, della magistratura – hanno proceduto ad uno sgombero coatto dei migranti che utilizzavano quell’area come rifugio di fortuna. Ed è chiaro, a mio avviso, che un provvedimento andava preso, perché quelle persone si esponevano, senza saperlo, ad un pericolo davvero molto grave di contrarre patologie gravissime, fra cui il terribile tumore provocato dalla respirazione involontaria di fibre di amianto, il mesotelioma. Ma queste persone, questi immigrati che – al di là delle polemiche sciocche e delle nuove xenofobie – vengono qui in Italia, vengono qui ad Eboli – nella stragrande maggioranza dei casi - per lavorare, per vivere con dignità e spesso per sfuggire a guerre sanguinose, ora devono essere aiutati a trovare una sistemazione decorosa. E questo va fatto per due motivi, uno legato al quel senso di civiltà e di solidarietà su cui tante volte Papa Francesco sta richiamando l’attenzione, l’altro anche a motivi pratici: questi migranti, lasciati a se stessi e privi di mezzi, altro non potranno fare – e pare che stia già accadendo in parte – che tornare a rifugiarsi in quel luogo malsano e pericoloso. Sarebbe, questo, un danno per la loro salute, oltre che una sconfitta per la nostra città. E sarebbe una sconfitta, gravissima, anche perché l’economia di questa città – al di là della demagogia che troppo spesso ascoltiamo – deve, per quanto riguarda l’agricoltura, moltissimo alle braccia di questi migranti, che di fatto portano avanti la raccolta delle verdure, della frutta, di tutte le rinomate produzioni locali. Ma è orribile considerare queste persone – i migranti – soltanto come braccia, come manovalanza senza diritti e senza speranze per il futuro. E’ indegno ospitarli in baracche a costi altissimi, è indegno lasciarli senza difese nelle mani dei caporali. Sarebbe utile promuovere – e lancio qui un’altra proposta – l’apertura a Santa Cecilia, potrebbe farsene promotrice l’Amministrazione Comunale presso gli entri preposti, di uno Sportello di Collocamento per gli immigrati. Questo sarebbe utile soprattutto per quelle lavorazioni che si svolgono in tempi brevissimi – pensiamo ad esempio alle pesche, che maturano in pochi giorni – e dove occorre molta manodopera per la raccolta. Oggi, il reclutamento di questa manodopera “veloce”, utilizzata per pochi giorni e da reclutare in gran numero e tempestivamente, è tutta in mano ai caporali, a loro volta controllati dalla criminalità organizzata. E’ un meccanismo che va spezzato! Tornando alla questione Apoff, mentre si dà la doverosa assistenza ai migranti sgomberati, occorre che si trovi rapidamente il modo per rimuovere al più presto il pericolo rappresentato da quella fabbrica, e in questo senso condivido la proposta del comitato di attivisti anti-amianto di un intervento del Comune di Eboli volto, in accordo con l’amministratore giudiziario dell’area, a promuovere l’acquisizione dei manufatti e la loro immediata bonifica. Una volta bonificata, quell’area potrà essere restituita alla collettività. C’è un’altra struttura che – lo ricordavo alcune settimane fa - da qui a pochi anni potrà rappresentare un serio pericolo, ed è anche prossima al centro cittadino: l’ex Foro Boario, i cui capannoni sono in larga parte ricoperti da lastre di eternit che, per ora, sembra siano ancora in condizioni di conservazione discrete, ma che – poiché l’associazione provinciale degli allevatori che risulta proprietaria dell’area non ha i mezzi economici per provvedere – potrebbero in pochi anni degradare. Nello scorso mese di dicembre, presentai – quale presidente dell’associazione sportiva ‘Free Runner’ - un'istanza al Sindaco di Eboli Massimo Cariello per chiedere se il comune avesse provveduto ad accertare la presenza – presso il Foro Boario di cemento-amianto nella copertura e se i proprietari – in caso appunto vi fosse presenza di amianto – avessero provveduto a comunicare agli uffici comunali il nominativo del responsabile del trattamento dell’amianto e, ancora, se fosse stata prodotta la relazione sullo stato dell’amianto previsto dalla legge. Ancora non è giunta risposta. Ma in ogni caso, per affrontare efficacemente problemi come questi, occorre da parte dell’Amministrazione Cariello uno sforzo serio: l’invito che rivolgo al Sindaco è quello di impegnarsi per mettere in campo un progetto, un intervento che porti all’acquisizione dell’area e alla realizzazione, in luogo del fatiscente complesso, di una piscina comunale e di impianti sportivi e ricreativi ausiliari, data anche la prossimità dell’area al Palasele e allo stadio comunale “Dirceu”.

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