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Con il DEF grandi annunci ma nessun atto concreto, nessuna scelta per lo sviluppo

Il Governo Conte è stato protagonista, nei giorni scorsi, dell’ennesimo show mediatico. In occasione dell’approvazione del D.E.F. – Il Documento di programmazione economica e finanziaria che stabilisce annualmente le linee guida di programmazione economica nazionale – i parlamentari 5 stelle hanno inscenato festeggiamenti per celebrare ciò che hanno pomposamente ribattezzato “l’eliminazione della povertà”.

Lo stesso Vicepremier Luigi Di Maio si è reso protagonista, insieme al solito ed onnipresente Toninelli e ad altri ministri pentastellati, di questa sceneggiata a beneficio di telecamere e pubblico, affacciandosi al balcone di Palazzo Venezia. Ora, al di là della pomposità degli annunci e dello scarso buon gusto mostrato nell’affacciarsi allo stesso balcone dove era solito affacciarsi il Duce per essere acclamato dalle folle oceaniche, quello che emerge è una pochezza di contenuti concreti davvero impressionante. Proverò a dirvi perché, in poche parole. Il D.E.F. è un semplice documento di programmazione economica. Certo, senz’altro quello che viene scritto lì ha un peso. E lo avrà sicuramente per la Commissione Europea, che non sarà entusiasta dell’annunciata volontà del Governo di sforare il deficit, andando ad un rapporto fra debito pubblico e prodotto interno lordo del Paese del 2,4 %. In ogni caso, nessun atto concreto è stato – per ora – messo in campo per quanto riguarda il reddito di cittadinanza, la cosiddetta flat tax progressiva, il condono tombale che orwellianamente è stato chiamato ‘pace fiscale’. Queste cose dovranno essere scritte nella prossima finanziaria. Attendiamo. Io non sono fra quelli – beninteso – che grida allo scandalo per la decisione – tutta politica – di incrementare il deficit, per quanto scegliere di farlo in pompa magna e sfidando apertamente la Commissione Europea appartiene ad uno stile propagandistico becero ed irresponsabile che non lascia presagire nulla di buono. Resto convinto, però, che un incremento del debito pubblico dovrebbe essere – keynesianamente – utilizzato per produrre nuovo lavoro e più ricchezza; più istruzione e imprese più sviluppate e adeguate alle sfide del futuro; opere pubbliche ed infrastrutture in grado di essere volano dello sviluppo dell’Italia nel prossimo decennio. E, certo, anche politiche sociali di maggiore impatto, perché un grave errore del centrosinistra degli ultimi decenni è stato quello di sottostimare gli effetti gravissimi che alcune misure macroeconomiche ed alcune scelte legislative stavano avendo nel Paese, soprattutto in termini di divario intergenerazionale e di precarietà del lavoro. Ma le misure annunciate lasciano perplessi, e non poco. Uno dei drammi dell’epoca moderna, infatti, è che si sta andando a grandi passi verso un modello economico e sociale non più fondato sul lavoro, ma sul mero consumo, con conseguenze enormi che riguardano il modo stesso in cui ci definiamo nella nostra identità culturale e sociale. Definirsi attraverso il lavoro vuol dire, infatti, definirsi anche attraverso le proprie esperienze e attraverso una indispensabile rete di relazioni. Definirsi esclusivamente attraverso il consumo, invece, apre la strada ad un mondo in cui rischiano di sfumarsi gli attuali parametri identitari. Un mondo nel quale ciascuno di noi si riduce a mero consumatore, e non è più cittadino titolare di precisi doveri e diritti. Quello che voglio dire è che l’approccio ad un problema vero e grave – la disoccupazione diffusa nel nostro Paese soprattutto fra le giovani generazioni – non può essere quello di un indistinto ‘assegno sociale’ che prescinda da azioni importanti per l’incremento dei livelli occupazionali. Affermare che il reddito di cittadinanza consentirà di rifiutare fino a tre lavori, non ripensare completamente la funzione dei centri per l’impiego, non ripensare in chiave strutturale il taglio del costo del lavoro, vuol dire impegnare risorse importanti con il rischio che esse vadano disperse e che il problema non venga per nulla risolto. Con l’aggravante che si abituano le persone a pensare che si deve essere meri produttori di reddito e consumatori, anche se slegati dal contesto produttivo e foriero di legami identitari e di crescita che è il lavoro. La povertà, cari amici a 5 stelle, evidentemente non è stata sconfitta, e onestamente temo non possa essere nemmeno contrastata efficacemente con le azioni politiche che pare il Governo abbia in animo di mettere in campo.

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